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sabato 27 dicembre 2014

ALBERTO MORAVIA

Dopo oltre vent'anni dalla sua scomparsa e nonostante i libri pubblicati sulla figura di Moravia, Carmen Llera, moglie del celebre scrittore, si lamenta dell'oblìo nel quale l'opera complessiva del marito sarebbe caduta. E infatti Moravia è parte integrante del paesaggio letterario italiano del Novecento. Attraverso quest'accenno ad uno dei più importanti intellettuali del secolo scorso, proveremo a mettere in evidenza i periodi più decisivi della sua vita intrecciata con le sue opere più notevoli, il suo impegno politico e in un contesto lievemente diverso, la sua posizione verso la società del Dopoguerra.

Alberto Moravia (1907, Roma - 1990, Roma)

            Essendosi rimesso da una coxite tubercolare che lo immobilizzò fino al 1925, Moravia esordì irrompendo sulla scena letteraria con il suo famoso romanzo psicologico Gli Indifferenti che gli porterà una celeberrima e precoce notorietà. La pubblicazione della sua opera capitale nel 1929, anno della crisi economica mondiale e in Italia dei Patti Lateranensi, fu soggetta a l'osteggiamento da parte del fascismo. Il pensiero unico fascista spinge alla tradizione mentre Moravia denuncia in maniera insolita l'ipocrisia del ceto altolocato (che combatte), andando quindi controcorrente. Egli descrive con un impeccabile realismo l'esistenza passiva e priva di qualsiasi emozione di due giovani fratelli, Michele e Carla, indifferenti alla meschinità e ai tradimenti che serpeggiano nella propria famiglia e cerchia di amici, e quindi la decadenza morale della borghesia. La madre Maria Grazia è innamorata di Leo, un affarista che si è preso tutti i suoi beni e vuole ora anche Carla, sua figlia, che alla fine gli cede. Michele tenta di ostacolare Leo, compra una pistola ma dimentica di caricarla per cui non riesce a ucciderlo e la vita continua con l'ipocrisia di sempre e l’apparente felicità come accade nelle famiglie borghesi dell’epoca. Dopo l’ennesimo fallimento, esce per le strade, cammina fra la gente, ma rimane indifferente a tutto quello che lo circonda: «Gli pareva di essere solo, miserabile, indifferente». Moravia denuncia quindi l’incapacità dell’uomo di sottrarsi agli schemi convenzionali, la verità e il cinismo di certa classe borghese, l’amore visto come erotismo disperato e infine l’indifferenza di fronte al tale realtà e non vede per l’uomo alcuna possibilità di salvezza. Edito questo capolavoro, cominciò a collaborare con Il Corriere della Sera dal 1948 ed entrò a far parte di vari periodici (tra cui l'Espresso). Nel 1953, fondò "Nuovi Argomenti", una rivista che diresse fino alla sua morte, nel 1990. Contemporaneamente alla sua carriera giornalistica, prosegue la stesura di romanzi, racconti e saggi. Nel 1951, Moravia scrive Il Conformista in cui ci presenta Marcello, un protagonista antieroe, un assassino, il cui primo delitto risale alla sua infanzia, quando un pedofilo tentò di abusare di lui. Marcello gli sottrasse la pistola e gli sparò prima di scappare. A trent’anni, Marcello Clerici si porta dietro questo ricordo e un gran senso di colpa. Per dimenticare il suo passato, è convinto di dover "conformarsi" agli altri e così di sembrare normale. Decise quindi di sposare Giulia, e anche di confessarsi ad un prete. Non gli basta e da appartenente all'OVRA, la polizia fascista, dovrà far uccidere il professor Quadri, un insegnante di filosofia, antifascista che si era rifugiato in Francia. Accade poi che si innamora della moglie di quest'ultimo. L'anormalità di Marcello sta nel fatto che vuole assomigliare a tutti gli altri mentre ciascuno cerca di distinguersi.

            In un percorso letterario parallelo a quello di Ignazio Silone (e le vicissitudini nel pubblicare  Fontamara nel 1933), non possiamo che sottolineare che in Moravia vi è «un’altissima sincerità di intenti, il desiderio di capire e farsi capire, di comunicare, di aggiornarsi, di non sentirsi un sopravvissuto e soprattutto […] una profonda fede […] nella funzione sociale dell’intellettuale vigile e partecipe nel proprio tempo» (Eugenio Ragni). Da un punto di vista stilistico, Moravia va collocato fra gli esistenzialisti. L'esistenzialismo, come quello sviluppato da Jean-Paul Sartre in Francia, richiede un impegno civile, un "engagement" da parte dell'intellettuale. Alberto Moravia, attraverso la sua provocatoria oggettività, si schiera dichiaratamente col movimento antifascista che si stava creando, pur non avendo firmato il Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce nel 1925. La corrente di pensiero contemporanea si afferma principalmente tra la fine degli anni '20 e i '50 ed essa insiste sul valore specifico dell'esistenza umana individuale e sul suo carattere precario e finito, assumendo in alcuni rappresentanti un'accentuazione religiosa, in altri un carattere umanistico e mondano. L'impegno civile di Moravia si tramuta in impegno politico (come quello d'Eugenio Montale) poiché dal 1984 al 1989 fu eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste PCI. Le basi delle sue tematiche rimangono il rapporto fra purezza e corruzione nonché l'osservazione delle trasformazioni sociali che coprirono il Novecento da lui vissuto. Moravia gioca il ruolo di osservatore distaccato rappresentando il declino di un'umanità incapace di slanci ideali e inevitabilmente delusa dal sesso e dal denaro che ne sono i surrogati. Il realismo col quale scrive rammenta anche la sua non-estraneità rispetto ai movimenti del verismo e al neorealismo nel quale rimane conteso e ai quali le sue opere si ispirano. Le tematiche neorealiste vengono riprese ne La Ciociara (1957) dove mette in luce il dramma della guerra, la ricostruzione nel Dopoguerra dove tutto ritorna come prima, come se nulla fosse cambiato. In questo libro, Cesira, una vedova negoziante, e la figlia Rosetta, lottano per sopravvivere a Roma durante la Seconda Guerra Mondiale e cuciti i risparmi di una vita nelle fodere di un vestito, decidono di fuggire e tornare nella loro terra natìa ciociara. Alla Liberazione, dopo esser sopravvisute alla fame e al freddo, le donne vengono attaccate e Rossetta viene violentata da soldati del Nord Africa. Moravia parte sempre, quindi, dall'idea che l'intellettuale non è altro che il testimone del suo tempo. Così, il Moravia del Dopoguerra, diverso dal Moravia durante il ventennio fascista, si evolve e deve descrivere ne La noia (1960) una realtà economica spuntata durante agli albori del Boom economico, l'alienazione neocapitalista legata alla ricerca ossessiva di sesso e di denaro di cui è oggetto Dino, un pittore, che si annoia nella propria casa a Roma e che disprezza come il padre i valori borghesi, tramandati dalla madre. Si innamora di Cecilia, una ragazza che ben presto si annoierà. Il giorno in cui lui vuole lasciarla, lei non si presenta all'appuntamento, facendolo così ingelosire. Da quel momento, i continui pedinamenti innescano poi un sistema in cui lui la paga perché lei lasci il secondo uomo che ha incontrato. Lei accetta il denaro, creando un meccanismo vizioso.

Negli anni precedenti la sua morte, Moravia si dedicherà al teatro nonché alla stesura di diari di viaggio. Man mano si evolve il XX secolo, lo stile e l'impegno dello scrittore romano cambiano. Tuttavia le sue opere e le sue opinioni politiche sono rimaste invariate, il che gli consente di essere considerato come scrittore e intellettuale di maggior rilievo, e di ottenere nel 1985 il titolo di "personalità europea".

sabato 10 luglio 2010

ERASMO, VIAGGIATORE E PACIFISTA


Erasmus, ecco una parola che mi fa venire l'acquolina in bocca... Alcuni di noi sono partiti, sono, (stanno per partire) o partiranno a fare lo studente / la studentessa Erasmus. Ma, a proposito, sappiamo tutti chi era Erasmo ?

Erasmo (la cui sua tria nomina è : Desiserius Erasmus Roterodamus), noto teologo e umanista, nacque nel 1467 di modesta origine (la madre fu la figlia di un medico ; il padre fece il prete). Il suo nome rimase famoso perché egli lo diede ad uno progetto di mobilità studentesca in Europa. Per quale motivo ? Per il semplice motivo che lui fu un vero globetrotter. Divenuto sacerdote a venticinque anni dopo avere ammucchiato un sapere enciclopedico, lasciò il convento, seguì il vescovo di Cambrai facendo il segretario, quindi si spostò a più riprese. Al fine Quattrocento, si fermò per quattro anni a Parigi ove imparò il greco antico alla Sorbonne e incontrò qualche umanista. Uscendo dall’università francese, rimarrà deluso una seconda volta della Scolastica (la prima volta era quando uscì dalla comunità dei Fratelli della Vita Comune, prima di diventare prete, quando già volle “laicizzare” la filosofia insegnata nel Medioevo). Nel 1499, portato da William Mountjoy, un giovane lord inglese, si recò in Inghilterra in cui vi vedrà tra l’altro Tommaso Moro (ideatore della città ideale di Utopia). Dagli inglesi, tra gli intellettuali che frequentò, fece conoscenza con Italiani che probabilmente l’aiuteranno nel 1506 nella sua decisione di partire per l’Italia. Nel 1500, scrisse Adagia e tre anni dopo Enchirion militis christiani (il Manuale del soldato cristiano), opere di riferimento per l’umanismo cristiano che riforma cattolica liberale, basata sulla carità. Nel contempo, iniziò a tradurre il Nuovo Testamento per cui fu mobilitato per dieci anni. In Italia, passò per le città di Torino e di Bologna, nella quale otterrà il dottorato di Teologia. Contestò dopo l’autorità papale (tuttavia meno di Lutero e Calvino) e critica alcune pratiche e dogmi di allora, pure non prediligendo un scisma. Poi, quando tornò in Inghilterra, egli redasse Elogio della follia, un sermone pieno di paradossi che tese a riconciliare Socrate, il Re Salomone ed il Cristo. In seguito preparò la pubblicazione della sua traduzione, facendo così scoppiare le ostilità dai teologi reazionari interamente opposti a tutti gli ellenisti che attinsero nei Vangeli direttamente. Sin da quel momento fino al 1529, si trovò in mezzo ai conflitti religiosi. I luteriani accusarono Lutero di “aver covato l’uovo” del riformismo che Erasmo aveva deposto. Si richiese una scelta da parte di Erasmo in quella disputa. Egli difese la riconciliazione. Dopo quell’episodio, cominciò la lite nelle loro opere tra i due grandi protagonisti. Al De libero arbitrio (1524) di Erasmo si oppone Del servo arbitrio (1525) di Lutero. Mentre le guerre di religione stavano preparandosi, Erasmo rifiutò, a Basilea, quelle classificazioni sistematiche e proclamò in un discorso che la Chiesa debba trovare l’unità che aveva perso. Di fronte alla crescita dell’estremismo, dovette sfuggire da Basilea per rifugiarsi a Friburgo. Tornerà comunque a Basilea, alcuni anni dopo, prima di morire nel 1536.

Paolo Brezzi, scrittore del Novecento scriverà : “Uno dei maggiori uomini di cultura del Rinascimento, Erasmo da Rotterdam, fu portato dalla sua stessa humanitas a condannare la guerra come «assurdità cattiva, anticristiana, belluina, selvaggia», a disprezzare gli «stolti nomi» di inglesi, francesi, tedeschi e delle altre nazionalità perché il nome di Cristo ci ricongiunge tutti: «il mondo intero è una patria comune» egli scrisse, ma quel mondo non era altro che l'Europa del tempo ed ambiente di Erasmo, ancor sostanziata di sentimento cristiano, ma soprattutto affratellata da uno spirito umanistico di tolleranza e di comprensione.”

Per farla breve, diciamo che Erasmo viaggiava molto ma sempre seguiva qualcuno. Dai Paesi Bassi, andrà a Parigi, in Inghilterra, in Italia.... Avrà sempre voluto conservare ogni idea che possa conciliarsi coi messaggi evangelici. Rimarrà famoso per secoli anche per aver predicato la pace, l’unità e la carità, insomma, per il suo umanismo.