Nell'immediato secondo Dopoguerra, l'Italia era un Paese
da ricostruire interamente. Fino al 1946, le città liberate del Nord erano
rimaste in mano ad autorità designate dal Comitato di Liberazione Nazionale
(CLNAI) mentre il resto della penisola era amministrato dal governo del Regno
del Sud. Per quasi due anni, si poneva quindi l'urgenza di riunificare un Paese
completamente lacerato, e di cambiarlo radicalmente. Il varo di una nuova
Costituzione, insieme alla scelta storica fra il regime monarchico e repubblicano,
era una delle questioni fondamentali del Novecento. Esso fu reso possibile
solamente con una svolta democratica nonché l'elezione dell'Assemblea
Costituente.
All'indomani della Liberazione, i governi devono affrontare
i problemi della ricostruzione, quello della smobilitazione delle forze
partigiane e quello dell'epurazione dell'amministrazione pubblica dal personale
fascista, oltre a quelli istituzionali che non si snoderanno prima del 1946. Nel
governo Bonomi prevalevano le forze che miravano a una semplice restaurazione
dell'ordine prefascista. Ma soprattutto in provincia, questa visione politica
non fu pienamente condivisa. Il tradizionale sistema di potere contribuiva a
creare un clima di scetticismo verso le nuove istituzioni. Dinnanzi alle spinte
per il rinnovamento, il governo Bonomi dovette dimettersi e lasciare l'incarico
a Ferruccio Parri, prestigioso esponente del Partito d'Azione, per annunciare
una serie di provvedimenti necessari finanziare la ricostruzione. Le gravi
difficoltà sul fronte economico e le numerose agitazioni scoppiate nelle
fabbriche e nelle campagne imposero al nuovo Presidente del Consiglio di
istaurare un prelievo fiscale sui ceti proprietari, oltre al cambio della
moneta e a un rafforzamento dei poteri del governo in materia economica.
Giudicato troppo sbilanciato verso sinistra, Parri fu duramente attaccato dalle
forze moderate e costretto a rassegnare le dimissioni. La svolta moderata,
appoggiata da tutte le forze politiche del governo Parri senza però il Partito
d'Azione, arrivò nel dicembre del 1945, con l'illustre Alcide De Gasperi. Il
governo da lui presieduto previde l'accantonamento delle politiche economiche
avviate dal suo predecessore e il rallentamento del processo di epurazione fino
all'amnistia generale.
Il processo di riunificazione tra il Nord e Centro-Sud,
due realtà assai diverse, non si potero compiere senza tacere le tendenze
separatiste. Ad esempio, nella regione più meriodionale d'Italia, la fine del
conflitto e il crollo del fascismo favorirono la creazione del Movimento per
l'Indipendenza della Sicilia, che coinvolgeva pressoché paradossalmente la
mafia ed esponenti dell'antifascismo. Da cui sorse la necessità di stabilire un
equilibrio politico (non trovato dai precedenti governi) per ristabilire
l'egemonia dello Stato e redigere una nuova Carta costituzionale. La rottura
col recente passato fascista avvene nel 1945 con l'acquisizione di diritti sia
per le donne sia per il popolo. Dopo il ventennio mussoliniano, i diritti
calpestati e le varie persecuzioni, un decreto fu emanato il 31 gennaio per
riconoscere alle donne il diritto di voto. Tuttavia, il decreto Bonomi non
faceva menzione dell'elettorato passivo, ossia la possibilità per le donne di
candidarsi alle elezioni. Bisognò aspettare il 10 marzo del 1946 per vedere i
pieni diritti conferiti alle donne, un giorno importante per la democrazia in
Italia. Ormai soggette al suffragio universale, esse potero recarsi alle urne nemmeno due mesi dopo e decidere insieme agli uomini del proprio futuro e di
quello del Paese, grazie al referendum istituzionale per la scelta tra
Monarchia e Repubblica e l'elezioni dei membri dell'Assemblea Costituente che
sarebbe stata incaricata in seguito di scrivere la nuova Costituzione.
Infatti, il 2 giugno 1946, il referendum sancì la
vittoria dell'opzione repubblicana (12.700.000 voti) su quella monarchica
(10.700.000) con una partecipazione alta, giunta al 90% degli aventi diritto al
voto. La nascita della Repubblica segnava un momento indelebile e rilevante
nella storia di un Paese giovanissimo, nato 85 anni prima. Umberto II di
Savoia, il cosiddetto «Re di maggio» (poiché era salito al trono poche settimane prima del
voto in seguito all'abdicazione di Vittorio Emanuele III) e ultimo re d'Italia,
denunciò quello che a suo avviso costituiva un atto di illegalità compiuto dal
governo e contestò la sua deposizione; al contempo, tuttavia, «con animo colmo di dolore» annunciò di essersi risolto ad accettare l'esilio. Lo
stesso giorno, il 13 giugno, abbandonò l'Italia e partì per Lisbona. Al momento
della proclamazione ufficiosa dei risultati da parte della Corte di Cassazione
il 10 giugno, il Consiglio dei Ministri, infatti, dispose il trasferimento dei
poteri di capo dello Stato dal sovrano ad Alcide De Gasperi, senza attendere il
pronunciamente definitivo (e con esso la ratifica dei risultati ufficiali e la
proclamazione della Repubblica) fissato per il 18 giugno.
Contemporaneamente, le elezioni per l'Assemblea
Costituente registrarono una netta vittoria della Democrazia Cristiana (35,2%)
di De Gasperi, seguita nei consensi dal Partito Socialista Italiano di Unità
Proletaria (20,7%) di Pietro Nenni e dal Partito Comunista Italiano (18,9%)
condotto da Palmiro Togliatti, nonostante la frattura palese tra il Nord e il
Sud: nelle regioni meridionali, gli elettori si espressero maggiormente a
favore della continuità monarchica e per i partiti moderati mentre nelle
regioni settentrionali e centrali, i partiti repubblicani e di sinistra
perdipiù antifascisti erano prevalentemente scelti. A livello nazionale, il
risultato delle elezioni premiò i partiti di massa che divvenero i protagonisti
della vita politica dell'Italia repubblicana.
Il primo atto dell'Assemblea fu, il 28 giugno, l'elezione
a capo provvisorio dello Stato di Enrico de Nicola. L'Assemblea aveva anzitutto
l'incarico di redigere la nuova Costituzione repubblicana, e in questa
direzione si costituì una specifica Commissione composta da 75 membri. Essa terminò
il suo lavoro nel gennaio 1947 e nel marzo successivo iniziò il dibattito sul
testo della Costituzione che, approvata definitivamente il 22 dicembre 1947,
venne promulgata dal capo dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il
1° gennaio 1948. La stesura della Carta costituzionale fu il frutto migliore
della collaborazione tra i partiti moderati e quelli di sinistra. Essa
istituisce un sistema democratico di tipo parlamentare, fondato sulla divisione
tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Le Camere (Senato e Camera
dei Deputati), elette a suffraggio universale, sono titolari del potere
legislativo e della facoltà di accordare la fiducia al governo; riunite in
seduta congiunta, eleggono il Presidente della Repubblica per un mandato di sette
anni. Il governo, nominato dal capo dello Stato, è responsabile del potere
esecutivo e garantisce l'applicazione delle leggi. Il potere giudiziario è
riconosciuto autonomo e indipendente da qualsiasi altro potere. Originariamente
composta da 139 articoli (di cui 5 saranno abrogati), la "legge
fondamentale" viene organizzata in quattro sezioni:
§
Principi
fondamentali (artt. 1-12);
§
Parte
prima, dedicata a diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-54);
§
Parte
seconda, contenente l'ordinamento della Repubblica (artt. 55-139);
§
18
disposizioni transtorie e finali.
Con l'entrata in vigore della nuova Carta costituzionale,
scomparve il cosiddetto Statuto albertino. Esso fu la costituzione
"breve" (81 articoli) promulgata a Torino il 4 marzo 1948 dal re
Carlo Alberto di Savoia, e vigente nel Regno di Piemonte-Sardegna, estesa nel
1861 al Regno d'Italia dopo l'unificazione del Paese. Prevedeva anch'essa la
divisione dei poteri, ma esercitati tutti personalmente dal sovrano e sostituiva
l'ordinamento monarchico-costituzionale alla monarchia assoluta nello Stato
piemontese.
La Costituzione del 1948 è, innanzitutto, il risultato,
posto in forma scritta, di un accordo fra le diverse componenti del popolo
italiano che hanno assunto il compito di ricostruire l'ordinamento nazionale
all'indomani del referendum del 2 giugno 1946, che segnò il passaggio dalla
forma monarchica a quella repubblicana dello Stato. Carta costituzionale
scritta, pertanto, e "programmatica", in quanto assegna alle forze
politiche il compito di rendere effettivi gli obiettivi fissati dai
costituenti. Infine, Carta costituzionale "rigida", tutelata da norme
che disegnano una particolare resistenza alle modificazioni. Tale rigidità del
testo ha conseguenze sia sul piano tecnico, sia sul piano politico. Dal punto
di vista tecnico, infatti, sono presenti due diversi meccanismi di tutela, il
primo volto a costruire delle procedure speciali per la revisione del testo, il
secondo ad assegnare a un organo specifico, la Corte costituzionale, il compito
di vagliare la compatibilità fra le norme della Costituzione e il contenuto
delle leggi, vecchie e nuove. In tal senso la Corte costituzionale è il garante
della natura di legge fondamentale della Carta del 1948. Dal punto di vista
politico, la rigidità della Costituzione impone alle forze politiche la ricerca
di un ampio consenso, che trascende le semplici maggioranze parlamentari, per
poter intervenire con disegni di modifica di parti del testo, siano essi di
innovazione o di soppressione. Questo spiega perché, a oggi, i progetti di
forma costituzionale siano stati limitati nel numero, e solo in parte coronati
da successo.
Pur guardando al futuro, la Carta costituzionale è stata
segnata dalla memoria di quanto l'Assemblea Costituente si lasciava alle spalle
nell'immediato Dopoguerra: ecco allora, sul piano del rifiuto del passato,
l'esplicito ripudio della guerra quale strumento di risoluzione delle
controversie internazionali (art. 11) e, per contrasto, l'apertura dell'ordinamento
alle regole del diritto internazionale (art. 10), il bando alla pena di morte
(art. 27), il divieto di ricostruzione, sotto qualsiasi forma, del partito
fascista (XII disp. transitoria), la dichiarazione di irreversibilità
dell'opzione repubblicana (art. 139). Ed ecco, sul piano della costruzione
dell'ordinamento democratico, l'enfasi posta a proposito dei diritti di
partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del paese (art.
3), dell'azione libera della persona nelle formazioni sociali (art. 2), quali
sono i partiti, i sindacati, le associazioni culturali e professionali, le
comunità religiose, e l'ampio spazio dedicato ai diritti connessi al lavoro
(artt. 35-40), così come il riconoscimento del referendum quale modo di
esercizio diretto della sovranità popolare (artt. 75, 123, 132, 133 e 138).
La prima pagina del
Corriere della Sera pubblicato il 4 giugno 1946 dopo l'esito del referendum
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